Don Lorenzo Milani (1923-1967). Toscano. Famiglia ricca e di cultura elevata. Da giovane gli nasce una passione grande per il Vangelo e i poveri. Guardando la società vede una Chiesa povera e ricca; classi agiate e misere; gente di cultura e tantissimi analfabeti. Sono i contrasti dell’Italia del dopoguerra. Diventato prete non esita a denunciare apertamente queste grandi disparità. Sa che la cultura e la parola possono creare più umanità, più benessere per tutti. Svolge la sua missione a Barbiana, parrocchia con pochissimi abitanti e povera di tutto, ma non di umanità. In canonica apre una scuola per giovani contadini e operai. Nonostante le opposizioni che incontra a livello civile ed ecclesiale, don Lorenzo resta fedele alla sua missione verso i giovani e la cultura. Una vita breve, ma profetica. Muore infatti a 44 anni. Ognuno dei suoi giorni è segnato da un motto a lui caro: “I CARE”… mi importa!


Intervista a don Lorenzo Milani

Una porta colore grigio chiaro con una scritta rossa “I care”. Busso.
È l’ingresso della sua scuola. Entro.
Mi ritrovo davanti lui, don Milani. Sorride.
I suoi occhi mi scrutano.
Mi faccio coraggio e gli chiedo:

– Come si ritrova in questa nostro anno che stiamo vivendo?
«Ogni tempo è straordinario in sé. Più passano gli anni, più mi accorgo di quanto la creatività e la genialità di tanti giovani sta offrendo all’umanità strumenti di relazione, di libertà, di costruzione di un mondo dove finalmente ognuno si possa realizzare».

– I giovani di oggi sono meno impegnati rispetto al passato?
«Assolutamente no. I giovani hanno sogni grandiosi, e chi ha la costanza e la determinazione riesce a portarli avanti. La vita mia, tua, di ciascuno è un dono di Dio, non va buttata via e buttarla via è peccato. Se un’azione è inutile, è buttar via un bel dono di Dio. E questo i giovani lo devono sapere!».

– Ma c’è ancora posto per l’impegno dei giovani, nella società, oggi?
«Impegnarsi per qualcosa e per qualcuno è dare tutto di sé e il meglio di quanto si possiede: in mezzi, cultura, capacità personali, innovazione di idee. Purtroppo siamo tutti inseriti in una società che è fossilizzata e resa sterile da chi tenta di imporre, come novità, il passato. E questo blocca i pensieri nuovi, la speranza, la voglia di costruire futuro… Non a caso, ho scritto all’ingresso della mia scuola popolare a Barbiana il motto “I CARE – mi importa”, contro la cultura del “me ne frego” = strada comoda e larga che delega ad altri le proprie responsabilità».

– Quanto è importante oggi il motto: “I care” da lei scelto?
«In modo assoluto! “I care”: mi sta a cuore, mi interesso, voglio essere protagonista della mia/nostra storia e della mia vita. Per un cristiano questo dovrebbe essere ancora più vero. Con un impegno senza mezze misure. Anzi, dovremo farci spesso, l’un l’altro, una domanda: “Do I care?”. Ti interessi del tuo fratello che soffre? Sei disposto a donargli un po’ del tuo tempo, ad ascoltarlo, a condividere con lui la ricchezza del Vangelo? “I care” è trovare la propria realizzazione promuovendo il bene della società, di ogni persona della società. L’esperienza del “sentire” l’altro, cogliere le sue emozioni è frutto di empatia, amore, scoperta continua di se stessi e degli altri. Per un educatore, poi, nei riguardi dei giovani, significa essere “profeta”, che scruta i segni dei tempi, e percepisce negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani, e li aiuta nel cammino».

– Giovani e cultura della comunicazione… che ne pensa?
«La “parola” è la chiave fatata che apre ogni porta. Questo vale per ogni persona e ancora di più per i giovani. Comunicare! Nella parola c’è: “I CARE”, mi importa la comunione, la relazione».

– Un messaggio da lasciare ai giovani?
«Quando, per stanchezza delusione incomprensioni, ti viene voglia di mollare tutto e dire: I don’t care… più!, guarda oltre e scoprirai di nuovo le parole più essenziali: I CARE… ancora di più!».

(di Erika Nundini e Laura Cenci)