Nella preghiera è necessario “raccontarsi”, aprire le porte del cuore e mostrarsi così come si è al Signore, senza maschere di copertura che ci danno l’aria da “bravi ragazzi”, partendo da ciò che siamo nella libertà, perchè solo in questo modo la paura o il grido che è in noi può trasformarsi in liberazione e i desideri possono tradursi in scelte che spalancano le porte ad una vita davvero felice.

“La vocazione battesimale sorgente di tutte le vocazioni”

…L’uso della parola “vocazione“, è interessante vedere come è stata percepita negli anni in riferimento al battesimo e non dal suo uso. Penso che tutti noi abbiamo un pò questa esperienza nell’esistenza, dove ci accorgiamo che la parola vocazione viene usata o non viene usata secondo certi contesti o riferimenti a forme vocazionali. C’è un uso esclusivo della parola vocazione, che di per sé viene evocata in riferimento ad una vocazione di carattere esclusivo e non inclusivo. Poi è successo, sopratutto con il Concilio Vaticano II, con la Lumen Gentium, capitolo 5° ‘Vocazione alla santità di tutti i fedeli’, allora la parola vocazione viene usata, diciamo così, in ambito inclusivo. Cioè, non si riferisce ad uno stato di vita particolare, ma alla vita battesimale come tale: tutti siamo chiamati a seguire il Signore. Quindi, due usi fondamentali: inclusivo ed esclusivo. Quindi, due usi fondamentali: inclusivo ed esclusivo. E’ anche vero che, un termine non ha soppiantato l’altro (quando io alla fine degli anni ’70 sono andato da mio papà e dalla mia mamma e gli ho detto che avevo la vocazione, vi assicuro che non hanno pensato al 5° Capitolo della Lumen Gentium dove si parlava della vocazione universale di tutti alla santità, ma hanno pensato che entravo in convento e infatti avevano proprio ragione!), gli usi si mantengono un pò insieme, non è che si sostituiscono.

Mons. Paolo Martinelli, cappuccino
vescovo ausiliare di Milano, vicario episcopale per la vita consacrata

Versione PDF relazione integrale

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Video della Relazione di Mons. Martinelli
Gentilmente condiviso dal Facebook
del Centro regionale per le vocazioni della Toscana

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“Hai chiesto a Dio qual è la tua vocazione?”

Posto in questi termini l’interrogativo crea in realtà un certo imbarazzo. Vi sono dei giorni in cui vorremmo fare riferimento a una volontà particolare di Dio, la quale sarebbe la nostra vocazione. Come sarebbe rassicurante e confortante nelle ore di dubbio e difficoltà! Sapere che ciò si iscrive in un disegno di Dio previsto da tutta l’eternità, in cui ogni elemento della nostra vita, lieto o triste che sia, trova il proprio posto e il proprio senso!

Ma, al tempo stesso, qualcosa protesta dentro di noi. Dio dunque ci porrebbe davanti a un programma da riempire, stabilito al di fuori di noi, senza neppure darci dei mezzi sicuri per conoscerlo? Se si vuol parlare di volontà di Dio in questo senso, quale peso non avrebbe tale volere divino sulla nostra libertà! E quale angoscia, inoltre, sarebbe per noi quando si trattasse di scegliere ogni errore, qualsiasi ritardo risulterebbero drammatico. Correndo parallelamente al disegno di Dio, ponendoci pur involontariamente al di fuori del suo progetto, avremmo perduto tutto, rovinato tutto. E ciò tanto più facilmente in quanto sappiamo bene che le vie di Dio non sono le nostre vie, e ogni giorno ci rendiamo conto di quanto sia difficile e talvolta rischioso voler discernere quella che chiamiamo la volontà di Dio.

La preghiera dunque non può essere l’assedio posto ad un Dio restio a parlarci. La Bibbia ci presenta al contrario un Dio che desidera parlare all’uomo e stabilire con lui una relazione: la preghiera non é altro che questo ascolto e questa risposta ad un Dio che non desidera niente di più che mettere la sua tenda tra di noi, anche a costo di “rimetterci le penne”!

Mons. Paolo Bizzeti, gesuita e vescovo
Rivista SE VUOI, 5/2003